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16. UN SALUTO

Non so cosa hai provato durante il viaggio verso la zona declinante della vita. Cercavi le cose del tuo passato, vecchie foto, figure, gioie e dolori. Forse ti riapparivano davanti e le hai ripercorse con una nostalgia intensa ma più pacata, malinconica, con il distacco e la rassegnazione alle quali ti stavi preparando, qualcosa che “deve avere a che fare con la percezione che si ha, improvvisa, del proprio passato, in un giorno impreciso del nostro invecchiare. Prima erano figure sullo sfondo, appena illuminate, e d’un tratto ecco ti si avvicinano piene di forma e luce, come uno spettacolo tardivo, impossibile sottrarsi all’impressione che le devi ricevere, come invitati, come visite impreviste…” come dice Baricco in un bel passaggio del suo libro Questa Storia. La vita di una persona non è un territorio isolato, è collegata ad altre vite, ma tu tendevi a salvaguardare le persone care da situazioni dolorose. Il tuo treno rallentava a poco a poco, fino alla stazione sconosciuta dove fermarsi. Ma quel treno ha corso talmente tanto, ha attraversato interi continenti, ha provato l’ebbrezza di tanti paesaggi, di tanto vento e tempeste, ma anche di luoghi assolati e incantevoli. Tante immagini che, anche a tutta velocità, hai catturato dal finestrino, memorie che hai trasferito sulle tele che non posso pensare slegate dalla tua mano veloce e dal tuo pensiero impetuoso. Per sempre.

P.S.: scrivere è il mio modo muto per parlarti: se vuoi, una forma sofisticata di silenzio, per dirti cose non dette, che però tu sapevi.

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Lasciatemi come una rosa selvatica

nata da sola

in un fosso seccato,

con le mie spine tenere

appena germogliate,

con li miei petali luccicanti,

col loro profumo intenso

aggrappato all’aria,

offerto al sole che cuoce,

ai calabroni che passano.

 

Lasciatemi con i miei vecchi fiori

sfogliati da un soffio,

con il mio tappeto rosa ai piedi,

fatto di bellezza appena andata,

di morte non ancora compresa.

 

(Fabrizia Sarti)

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